Il workflow di un ME: KaribuMastering al lavoro

Published on 9th January 2017 20:00 Numero di Visualizzazioni: 2193
Articolo a cura di Gianni "KaribuMastering".
Una delle domande che ricevo più spesso, sia dai clienti che dai colleghi e amici del settore riguarda il mio setup di lavoro e procedure standard durante il mastering.

Beh, potrei chiudere in fretta l’articolo scrivendo che procedure “standard” non ne ho, e che ragiono ogni mastering partendo da zero…ma sarebbe poco interessante sia per chi legge che per me stesso: voglio invece in un certo senso “obbligarmi” ad analizzare quello che faccio da quando ricevo il/i mix a quando mando fuori il master.
Devo dire che l’approccio al mastering è profondamente cambiato negli ultimi anni soprattutto da parte dei produttori.
“Una volta” ci si aspettava che questa fase di lavoro apportasse modifiche e personalizzazioni anche profonde sul mix ricevuto, e non era neanche così infrequente che i produttori manifestassero fin da principio perplessità o non piena soddisfazione su alcuni aspetti del mix, dal bilanciamento dello spettro all’importanza degli elementi chiave voci e/o strumenti solisti; spesso arrivavano numerose versioni (vocal up, vocal down, bass up, bass down ecc…) che durante il mastering venivano scelte sia in funzione della coerenza tra i brani sia dell’effetto sonoro finale post-mastering. Negli ultimi anni invece, vedo la tendenza ad arrivare con mix dei quali i produttori sono già sostanzialmente soddisfatti, e che sono il frutto di correzioni e/o modifiche effettuate in mix, grazie alla facilità di recall sia che si sia lavorato ITB che OTB (ormai qualsiasi mixing engineer ha sviluppato standard di bounce degli stems in modo da essere in grado di apportare revisioni senza dover reimpostare integralmente il banco e l’outboard); arrivano comunque versioni diverse, questo sì, ma sempre più spesso il motivo non è “correttivo” ma “creativo”, nel senso che il produttore vuole sentire come suona il brano dopo il mastering e avere al volo la possibilità di optare per un mix piuttosto che un altro in funzione di ciò.
Spesso è il mixing engineer stesso che mi chiede un’opinione su quale mix secondo me “rende meglio”, fa parte del normale rapporto di fiducia che si crea e che è uno dei principali motivi per cui anche i produttori/mixers più esperti apprezzano che il mastering engineer sia una persona diversa da loro, che non abbia seguito le precedenti fasi, e che ascolti in un sistema monitor diverso e senza “preconcetti”.
In un certo senso mi trovo ad essere “l’ascoltatore 0” di una produzione
…una sorta di beta-tester con però possibilità di intervento diretto quando necessario.
Intanto mi sembra importante specificare che l’approccio è differente se devo masterizzare un singolo piuttosto che un album/EP: nel primo caso non mi preoccuperò di null’altro che non sia il rendere al meglio possibile il brano in questione, mentre nel secondo ogni scelta sarà misurata non solo rispetto al brano, ma anche rispetto agli altri che dovranno poi essere accostati/sequenziati.
Altrettanto diverso è l’approccio se il formato di uscita previsto è il CD, il download digitale, lo streaming e soprattutto il vinile, in quanto la situazione ottimale vorrebbe un mastering differente per ciascuno di essi. Nella realtà in genere si procede con il mastering per CD (che verrà usato anche per la distribuzione digitale e lo streaming), a volte il Mastering For ITunes secondo le specifiche Apple e al massimo quello per vinile se ne è prevista l’uscita. Mentre può essere accettabile il compromesso di non ottimizzare il master per la distribuzione digitale, è vivamente sconsigliato usare lo stesso per il vinile, in quanto le limitazioni del supporto e le sue caratteristiche tecniche (livello, dinamica, spettro sia a livello statico – ossia riferito all’intero programma – che dinamico – ossia riferito al fatto che la risposta in frequenza del vinile cambia in funzione della posizione della puntina, pertanto i brani posizionati vicino al centro suoneranno diversi da quelli periferici, ed il mastering andrà a compensare questo fatto) ne determinerebbero una qualità scadente.
Una delle domande che ricevo più spesso è “Da dove parti?”, e potrei rispondere senza dubbio che parto dalla musica: ascolto il mix e mi faccio un’idea della direzione sonora che è stata data e dalle esigenze che può avere, necessità che nella maggior parte dei casi si risolvono in piccoli interventi di equalizzazione, controllo del range acuto (sibilanti) e raggiungimento di un livello commercialmente accettabile rispetto alle produzioni concorrenti.
Trovo che sia importante fin da subito lavorare ad un livello prossimo a quello definitivo, in quanto le scelte di equalizzazione sono profondamente influenzate da ciò, per questo motivo dopo una grezza regolazione fatta “al volo” procedo con l’innalzamento del loudness, che deputo al fido Weiss DS1 facendolo lavorare più come gainer (ed all’occorrenza clipper per i livelli più elevati) che come limiter…normalmente “schiaccia” non più di 1-2dB e solo sui picchi più rilevanti.
Il controllo delle sibilanti è uno degli aspetti più determinanti, spesso anche mix ben bilanciati e “ben suonanti” peccano un po’ in questo…poco male
…se il problema è davvero rilevante mi faccio aiutare da un EQ dinamico, ma nella maggior parte dei casi un normale deesser è sufficiente per controllarle senza snaturarne il timbro.
Se sto preparando un master per vinile allora le terrò un poco “sotto” il livello che terrei per i formati digitali, così come il master stesso: diciamo tra i 3 e gli 8 dB in meno a seconda della lunghezza totale del programma.
Non sono un amante del processing mid-side in mastering, mi piace rispettare la spazialità che è stata decisa in mix, ma nei casi in cui sono necessari (o richiesti) interventi più “chirurgici” può tornare utile (le cose più tipiche sono alzare/abbassare la voce o un solista o rendere più “frizzanti” o “delicate” parti come chitarre e piatti della batteria…); il mio preferito in tal senso è di lo Junger E07 ma usato in modalità statica e non dinamica (troppo rischio di strani movimenti dello spazio stereo). Di nuovo se si tratta di vinile un’occhiata al low end nel side gliela tiro…e al low end in generale soprattutto se la lunghezza del programma è più elevata (diciamo sopra i 20′ giusto per dare qualche numero…).
Amici fedelissimi nel mentre del processo sono i miei “vecchi” VU meters…grossi e chiari (ben 3 unità rack!) e soprattutto custom: 3 costanti di tempo selezionabili a partire dai fatidici standard 300ms. In questo modo ho un visualizzazione molto veritiera sia del loudness medio che dei transienti, e si aggiunge alla verifica livelli effettuata uditivamente (sempre la principale) e via meters digitali (PEAK, RMS e LUFS).
Se devo masterizzare un album o un EP il processing non cambia dal lato tecnico, cambia invece sensibilmente l’approccio: innanzitutto mi piace lavorare “in scaletta”, partendo quindi dal primo brano previsto e procedendo in sequenza, in modo da puntare l’attenzione, oltre che sul singolo brano, sulla coerenza tra le tracce.
Coerenza che non intendo come “suonare tutti uguali” o addirittura “allo stesso livello”, ma come la possibilità di percepire l’intero album come un discorso unico, anche se al suo interno dovessero esserci sensibili differenze tra i brani.
Una delle difficoltà maggiori in questo senso si configura quando i brani vengono prodotti/registrati/mixati da produttori diversi ed in studi diversi, perché talvolta le differenze sono così evidenti da rendere necessario un lavoro di mastering più approfondito. Dal mio punto di vista se la Produzione e l’Artista hanno fatto questa scelta è probabilmente proprio per caratterizzare in modo differente i brani, perciò sarebbe un errore “appiattirli”; ma al tempo stesso è necessario che l’ascoltatore abbia la percezione che si tratti di un lavoro coeso di un Artista, e non di un’accozzaglia di brani affiancati a caso!
Soprattutto in queste situazioni prediligo interfacciarmi (anche a distanza) con la Produzione, per capire proprio questi importanti dettagli: quanto desiderano mantenere i caratteri dei brani? E quanto vorrebbero invece “livellarli” ad un sound unico?
In funzione di che preferenze mi manifesteranno interverrò in modo più leggero o più pesante…perché alla fine il lavoro del Mastering Engineer è forse quello meno “invasivo” nelle scelte di produzione.
Mi piace pensare di essere l’ultimo tassello perché chi ha prodotto possa dire “adesso sì che è davvero finito!”.
Mastering is the subtle Art of doing the least to get the most
(Il Mastering è la sottile arte di fare il minimo per ottenere il massimo)
Note sull'autore:
KARIBU Mastering Studio
http://www.karibumastering.com/it/
https://karibumastering.wordpress.com/biografia/
Una delle domande che ricevo più spesso, sia dai clienti che dai colleghi e amici del settore riguarda il mio setup di lavoro e procedure standard durante il mastering.

Beh, potrei chiudere in fretta l’articolo scrivendo che procedure “standard” non ne ho, e che ragiono ogni mastering partendo da zero…ma sarebbe poco interessante sia per chi legge che per me stesso: voglio invece in un certo senso “obbligarmi” ad analizzare quello che faccio da quando ricevo il/i mix a quando mando fuori il master.
Devo dire che l’approccio al mastering è profondamente cambiato negli ultimi anni soprattutto da parte dei produttori.
“Una volta” ci si aspettava che questa fase di lavoro apportasse modifiche e personalizzazioni anche profonde sul mix ricevuto, e non era neanche così infrequente che i produttori manifestassero fin da principio perplessità o non piena soddisfazione su alcuni aspetti del mix, dal bilanciamento dello spettro all’importanza degli elementi chiave voci e/o strumenti solisti; spesso arrivavano numerose versioni (vocal up, vocal down, bass up, bass down ecc…) che durante il mastering venivano scelte sia in funzione della coerenza tra i brani sia dell’effetto sonoro finale post-mastering. Negli ultimi anni invece, vedo la tendenza ad arrivare con mix dei quali i produttori sono già sostanzialmente soddisfatti, e che sono il frutto di correzioni e/o modifiche effettuate in mix, grazie alla facilità di recall sia che si sia lavorato ITB che OTB (ormai qualsiasi mixing engineer ha sviluppato standard di bounce degli stems in modo da essere in grado di apportare revisioni senza dover reimpostare integralmente il banco e l’outboard); arrivano comunque versioni diverse, questo sì, ma sempre più spesso il motivo non è “correttivo” ma “creativo”, nel senso che il produttore vuole sentire come suona il brano dopo il mastering e avere al volo la possibilità di optare per un mix piuttosto che un altro in funzione di ciò.
Spesso è il mixing engineer stesso che mi chiede un’opinione su quale mix secondo me “rende meglio”, fa parte del normale rapporto di fiducia che si crea e che è uno dei principali motivi per cui anche i produttori/mixers più esperti apprezzano che il mastering engineer sia una persona diversa da loro, che non abbia seguito le precedenti fasi, e che ascolti in un sistema monitor diverso e senza “preconcetti”.
In un certo senso mi trovo ad essere “l’ascoltatore 0” di una produzione

Intanto mi sembra importante specificare che l’approccio è differente se devo masterizzare un singolo piuttosto che un album/EP: nel primo caso non mi preoccuperò di null’altro che non sia il rendere al meglio possibile il brano in questione, mentre nel secondo ogni scelta sarà misurata non solo rispetto al brano, ma anche rispetto agli altri che dovranno poi essere accostati/sequenziati.
Altrettanto diverso è l’approccio se il formato di uscita previsto è il CD, il download digitale, lo streaming e soprattutto il vinile, in quanto la situazione ottimale vorrebbe un mastering differente per ciascuno di essi. Nella realtà in genere si procede con il mastering per CD (che verrà usato anche per la distribuzione digitale e lo streaming), a volte il Mastering For ITunes secondo le specifiche Apple e al massimo quello per vinile se ne è prevista l’uscita. Mentre può essere accettabile il compromesso di non ottimizzare il master per la distribuzione digitale, è vivamente sconsigliato usare lo stesso per il vinile, in quanto le limitazioni del supporto e le sue caratteristiche tecniche (livello, dinamica, spettro sia a livello statico – ossia riferito all’intero programma – che dinamico – ossia riferito al fatto che la risposta in frequenza del vinile cambia in funzione della posizione della puntina, pertanto i brani posizionati vicino al centro suoneranno diversi da quelli periferici, ed il mastering andrà a compensare questo fatto) ne determinerebbero una qualità scadente.
Una delle domande che ricevo più spesso è “Da dove parti?”, e potrei rispondere senza dubbio che parto dalla musica: ascolto il mix e mi faccio un’idea della direzione sonora che è stata data e dalle esigenze che può avere, necessità che nella maggior parte dei casi si risolvono in piccoli interventi di equalizzazione, controllo del range acuto (sibilanti) e raggiungimento di un livello commercialmente accettabile rispetto alle produzioni concorrenti.
Trovo che sia importante fin da subito lavorare ad un livello prossimo a quello definitivo, in quanto le scelte di equalizzazione sono profondamente influenzate da ciò, per questo motivo dopo una grezza regolazione fatta “al volo” procedo con l’innalzamento del loudness, che deputo al fido Weiss DS1 facendolo lavorare più come gainer (ed all’occorrenza clipper per i livelli più elevati) che come limiter…normalmente “schiaccia” non più di 1-2dB e solo sui picchi più rilevanti.
Il controllo delle sibilanti è uno degli aspetti più determinanti, spesso anche mix ben bilanciati e “ben suonanti” peccano un po’ in questo…poco male

Se sto preparando un master per vinile allora le terrò un poco “sotto” il livello che terrei per i formati digitali, così come il master stesso: diciamo tra i 3 e gli 8 dB in meno a seconda della lunghezza totale del programma.
Non sono un amante del processing mid-side in mastering, mi piace rispettare la spazialità che è stata decisa in mix, ma nei casi in cui sono necessari (o richiesti) interventi più “chirurgici” può tornare utile (le cose più tipiche sono alzare/abbassare la voce o un solista o rendere più “frizzanti” o “delicate” parti come chitarre e piatti della batteria…); il mio preferito in tal senso è di lo Junger E07 ma usato in modalità statica e non dinamica (troppo rischio di strani movimenti dello spazio stereo). Di nuovo se si tratta di vinile un’occhiata al low end nel side gliela tiro…e al low end in generale soprattutto se la lunghezza del programma è più elevata (diciamo sopra i 20′ giusto per dare qualche numero…).
Amici fedelissimi nel mentre del processo sono i miei “vecchi” VU meters…grossi e chiari (ben 3 unità rack!) e soprattutto custom: 3 costanti di tempo selezionabili a partire dai fatidici standard 300ms. In questo modo ho un visualizzazione molto veritiera sia del loudness medio che dei transienti, e si aggiunge alla verifica livelli effettuata uditivamente (sempre la principale) e via meters digitali (PEAK, RMS e LUFS).
Se devo masterizzare un album o un EP il processing non cambia dal lato tecnico, cambia invece sensibilmente l’approccio: innanzitutto mi piace lavorare “in scaletta”, partendo quindi dal primo brano previsto e procedendo in sequenza, in modo da puntare l’attenzione, oltre che sul singolo brano, sulla coerenza tra le tracce.
Coerenza che non intendo come “suonare tutti uguali” o addirittura “allo stesso livello”, ma come la possibilità di percepire l’intero album come un discorso unico, anche se al suo interno dovessero esserci sensibili differenze tra i brani.
Una delle difficoltà maggiori in questo senso si configura quando i brani vengono prodotti/registrati/mixati da produttori diversi ed in studi diversi, perché talvolta le differenze sono così evidenti da rendere necessario un lavoro di mastering più approfondito. Dal mio punto di vista se la Produzione e l’Artista hanno fatto questa scelta è probabilmente proprio per caratterizzare in modo differente i brani, perciò sarebbe un errore “appiattirli”; ma al tempo stesso è necessario che l’ascoltatore abbia la percezione che si tratti di un lavoro coeso di un Artista, e non di un’accozzaglia di brani affiancati a caso!
Soprattutto in queste situazioni prediligo interfacciarmi (anche a distanza) con la Produzione, per capire proprio questi importanti dettagli: quanto desiderano mantenere i caratteri dei brani? E quanto vorrebbero invece “livellarli” ad un sound unico?
In funzione di che preferenze mi manifesteranno interverrò in modo più leggero o più pesante…perché alla fine il lavoro del Mastering Engineer è forse quello meno “invasivo” nelle scelte di produzione.
Mi piace pensare di essere l’ultimo tassello perché chi ha prodotto possa dire “adesso sì che è davvero finito!”.
Mastering is the subtle Art of doing the least to get the most
(Il Mastering è la sottile arte di fare il minimo per ottenere il massimo)
Note sull'autore:
KARIBU Mastering Studio
http://www.karibumastering.com/it/
https://karibumastering.wordpress.com/biografia/
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